Storie di luoghi e donne che non vediamo

Come ogni edificio veneziano, anche il carcere è intriso di storia; si trova in un antico monastero fondato nel XII secolo, diventato poco dopo il 1600 un ospizio gestito dalle suore per prostitute “redente”, o meglio per “donne convertitesi a Dio dalla bassezza dei vizi” come si legge in una targa in latino sulla facciata dell’istituto. 

Nel 1859 le suore, dal forte esempio di pietà, ricevettero ufficialmente dal governo austriaco l’incarico di gestire le carceri. La fondamenta delle Convertite, che si percorre per arrivare al carcere, prende il nome proprio dalla storia di queste donne, entrate peccatrici e colpevoli dei loro vissuti.
Nel 2015, ho varcato per la prima volta la soglia dell’Istituto di reclusione femminile della Giudecca, a Venezia. Da queste parole, si potrebbe pensare che a scrivere sia una detenuta o ex reclusa, invece il destino mi ha portata qui come socia fondatrice e presidente dell’Associazione Closer, una realtà che promuove attività culturali in contesti sociali difficili.

E’ stata la direttrice di allora, la dott.ssa Gabriella Straffi, ad accogliermi in occasione di quel primo incontro, una persona che ha amministrato questo spazio dando la possibilità alle donne detenute di utilizzare al meglio il tempo della pena, lavorando, andando a scuola, partecipando a iniziative culturali ma anche valorizzando i momenti di aggregazione e di assemblea. Nel tempo, tutto questo ha reso più semplice la gestione dei conflitti e ha permesso che si creasse un ambiente più collaborativo, in cui le recluse sono incoraggiate ad assumersi responsabilità nelle dinamiche interne. Qui si vive in 5 per ogni stanza e le celle sono poco più di 20. Ci sono la cucina dove vengono preparati i pasti per tutte, la sala dove fare i colloqui, i laboratori gestiti dalle cooperative che offrono lavoro, l’infermeria, le aule di scuola, la biblioteca e la sala teatro, dove prendono vita le attività ricreative: si fa danza, ginnastica, incontri con ospiti esterni invitati dalle associazioni e la domenica pomeriggio diventa la discoteca.

Proprio in questa sala, nella primavera del 2018, con Associazione Closer ho invitato il cantautore e musicista Jack Jaselli per il progetto musicale “Note Indisciplinate”. 

Questo momento è stato emozionante, ma soprattutto mi ha fatto rendere conto che quello che ha concesso l’amministrazione della direttrice Straffi accettando di portare avanti il progetto Note Indisciplinate è stato di fatto aprire le porte del carcere richiedendo una partecipazione anche della comunità esterna all’azione rieducativa. E’ proprio il concetto di partecipazione la base di tutti i progetti che Closer porta avanti. Un termine più volte rimasticato sia da studiosi che da poeti, ma che per Closer assume il suo significato più semplice, quello di collaborazione, che trova completamento in un altro concetto fondamentale: impegno. Tutti i cittadini devono impegnarsi per partecipare a una virtuosa coreografia comune e civile. Sono una delle socie fondatrici di Closer e credo, che più si andrà ad aprire il carcere, più la società libera si affaccerà alle sue porte. In carcere la cultura può rivendicare il suo essere vettore di apertura e di scambio. L’accesso alla cultura deve essere considerato come passaggio obbligato nel percorso di responsabilizzazione della persona. Fra gli obiettivi di Closer c’è quello di offrire strumenti culturali perché quando l’accesso alla cultura produce azioni che si riverberano nella sfera pubblica, la responsabilizzazione stessa viene distribuita, condivisa tanto da chi è parte attiva del processo (le persone detenute) quanto da chi è parte - solo apparentemente - passiva.



Testo Nonostante tutto (Jack Jaselli)

Bisogna usare la filosofia e la sopportazione
Metter l’infinito dentro una canzone
e volare via di qua
Bisogna respirare la speranza in mezzo alla tempesta
come il profumo di un giorno di festa
che ricordi solo a metà

E non mi importa chi mi ha condannato
se il giudice, la sfiga o un destino sbagliato
voglio sapere che mi hai perdonato
ulrarti in faccia che tutto è cambiato

Lascia la porta aperta
dammi le ali che hanno messo via
la libertà non ha geografia
la libertà, qualunque cosa sia

Lascia la porta aperta
e tira fuori i sogni dal cassetto
che presto o tardi io torno da te
e ora so che un altro modo c’è

Si può provare ad essere felici anche per sottrazione
saper prendere a calci la disperazione
per resistere qua
Si impara in fretta che le spine fanno parte delle rose
esser leali al Dio delle piccole cose
spostare la tristezza un po’ più in là

E non mi importa chi mi ha condannato
se il giudice, la sfiga o un destino che ho amato
voglio sapere che mi hai perdonato
ulrarti in faccia che tutto è cambiato

Un viaggio, un figlio, una cena al ristorante,
la noia calda di una giornata come tante
il sesso, un odore portato dal vento
la libertà d’espressione, il senso del tempo

Guest Blogger: Giulia Ribaudo
pubblicato il 7/07/2021
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Giulia Ribaudo

Venezia, 1990. Laureata in Filosofia (Ca’ Foscari, Venezia). Presidente di Closer. Da diversi anni è impegnata nell’ambito carcerario: dal 2012 collabora con Rio Terà dei Pensieri (Venezia); nel 2015 ha svolto uno stage presso PREFACE, ente formativo attivo negli istituti penitenziari francesi. Ha contribuito all’ideazione e all’organizzazione di De l’Ombre á la Lumière – progetti realizzati con persone in stato di detenzione, Fondazione Bevilacqua. Ha lavorato per la cooperativa Solidalia, collaborato con il Consorzio Insieme, ora è HR per il gruppo Arsenalia.

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